Ci troviamo in una location particolare, certamente insolita per la rubrica “Indovina chi viene a pranzo”, all’interno del parco Baden Powell di Potenza circondati, comunque, da una vetrina di prodotti tipici della nostra terra. Il contesto concettuale, inoltre, è cruciale: Coldiretti Basilicata si è unito infatti alla lotta contro la violenza sulle donne attraverso il progetto nazionale di beneficenza e sensibilizzazione “Coltiviamo il rispetto”. Per l’occasione dunque, presso il mercato di Campagna Amica all’interno del parco, si tiene un’iniziativa organizzata assieme a Coldiretti Donne Impresa e a Magazzini Sociali. Intervengono, oltre ai vertici regionali e provinciali dell’organizzazione agricola lucana, anche il comandante della polizia locale del capoluogo, Maria Santoro, la fondatrice di “Non sei sola Potenza” e la direttrice di Magazzini sociali, Valentina Loponte. Ospite della manifestazione, proprio Terryana D’Onofrio, campionessa europea di karate, vincitrice del bronzo individuale e dell’oro a squadra ai Campionati Mondiali di Karate. Originaria di Sant’Arcangelo, è un’atleta che si è fatta testimonial di un tipo di sport in cui è soprattutto il muscolo “mentale” quello che ne trae maggiore beneficio.
d – Come giustifica la sua esistenza?
r – Credo di essere una persona normalissima, anche se la Regione mi ritiene un’eccellenza in virtù del mio percorso sportivo, nonostante ciò continuo a conservare la mia umiltà.
d – …È difficile conservare l’umiltà quando si raggiungono determinati traguardi e si iniziano a conoscere personaggi importanti che gravitano nell’ambiente?
r – Certamente, il rischio c’è, ma tutto dipende da come si è cresciuti. Io mi ritengo molto fortunata, anche perché sono nata in una famiglia che mi ha trasmesso specifici valori. Per raggiungere determinati risultati, prima di tutto bisogna volare basso.
d – Mi pare di aver letto in una delle sue interviste che lei ha appreso i rudimenti del Karate proprio tra le mura domestiche.
r – Mio padre è anche il mio allenatore. Tempo fa ha aperto una palestra di Karate proprio a Sant’Arcangelo, che ho iniziato a frequentare per gioco, poi pian piano è diventata una vera e propria sfida che mi ha condotta fino alla nazionale.
d – Qual è stato il primo insegnamento di suo padre?
r – Ero molto giovane, sì e no avevo due anni, diciamo che ho iniziato a gattonare in palestra. Certamente il primo valore che mi è stato trasmesso è il rispetto verso il Tatami e, soprattutto, nei riguardi dell’avversario. È chiaro, poi, che sulla base di tali dettami ci sia stata successivamente anche una evoluzione caratteriale.
d – Quando si pensa alle arti marziali vengono subito in mente i requisiti fisici dell’atleta che le interpreta, ma è altrettanto vero che le stesse infondono molto al livello mentale
r – Per chi non lo conosce bene, il Karate è un’arte davvero difficile da praticare. Emotivamente trasmette una gamma di emozioni che possono tornare utili nella vita reale, anche perché è uno sport di difesa e non di attacco. Per una donna, poi, saper gestire delle situazioni di difficoltà non è certo cosa da poco.
d – Lei lavora con le forze dell’ordine. In che modo il Karate può essere utile per tutelare la donna in una realtà nella quale purtroppo si registrano sempre più casi di violenza?
r – Purtroppo è un fenomeno con il quale ci confrontiamo quotidianamente e il Karate può rappresentare ed essere utilizzato come mezzo di contrasto. È vero, nessuno diventa una eroina con la pratica del Karate, io stesso non mi sento tale, ma ho sviluppato nel tempo un’abilità intellettiva, una maggiore sicurezza nella gestione di determinate situazioni. Sicuramente la pratica di questa disciplina può regalare maggiore tranquillità e potenzialità intellettiva (nella gestione di talune circostanze) a una donna.
d – Serena Lamastra, altra campionessa di arti marziali, in una recente intervista a noi rilasciata sosteneva che le stesse arti marziali possono e devono insegnare anzitutto ad una donna a sottrarsi alla violenza, anche perché sussiste un divario fisico rispetto all’uomo, che rende davvero difficile pensare di poterlo sopraffare pienamente in caso di attacco. Lei è d’accordo?
r – L’uomo è dotato fisiologicamente di maggiore forza fisica, ma non certo di maggiore forza mentale. Quindi, se di “sesso debole” si può parlare in questo caso, a mio modo di vedere, tale appellativo –da questo punto di vista- deve essere riferito agli uomini. Come dicevo, queste discipline possono rivelarsi sicuramente utili, ma non bisogna perdere mai la lucidità in certe situazioni. Sarei ipocrita a dire che una donna possa sopraffare fisicamente un uomo; siamo state create per sopportare maggiore dolore (in senso positivo, pensiamo al parto, un dono del Signore), ma ciò non deve servire come scusante agli uomini stessi per contrastare una donna. Trovare un punto d’incontro sicuramente porta a frutti più sani.
d – Quando c’è un lucano che ce la fa, a prescindere dai settori, viene subito da chiedersi: è stato difficile partire dalla Basilicata?
r – Direi proprio di sì. La Basilicata è ancora un passo indietro dal punto di vista dell’impiantistica sportiva, ma allo stesso tempo è ricca di talenti, e non solo in ambito sportivo. Ho incontrato molte difficoltà, per tornare alla sua domanda, anche perché mi sono dovuta spostare. So che ci sono alla base dei progetti che la Regione sta promuovendo e mi farebbe tanto piacere se i giovani potessero investire le proprie energie nel territorio.
d – Da lucana che ormai vive fuori e rientra di tanto in tanto, cos’è che la fa più arrabbiare? Quali sono le cose che proprio non vanno?
r – Non ho mai provato rancore verso la mia terra. Quando rientro cerco sempre di guardare il lato positivo. Anche se ho superato degli ostacoli, non è detto che anche gli altri debbano affrontarli. Se posso essere uno stimolo a migliorare lo stato attuale delle cose, ben venga, magari con il tempo possono migliorare.
d – Il libro?
r – S’intitola “Il ritorno del campione” e parla di come rialzarsi dopo una sconfitta.
d – Canzone e film?
r – Dipende un po’ dal periodo, non me la sento di citare un titolo specifico per l’uno e per l’altro, anche perché dietro c’è sempre una produzione artistica e un significato.
di Walter De Stradis