E’ stato per decenni il presidente del gruppo lucano dell’Aiac, l’associazione italiana allenatori calcio, e -fino al primo exploit (compreso) del Caiata presidente- una figura irrinunciabile
nell’organigramma del Potenza Calcio, ove ha ricoperto il ruolo dell’allenatore in seconda, praticamente «con quasi tutti i mister che si sono succeduti sulla panchina». Fra i progetti
di cui va più orgoglioso, vi sono il “PremioMancinelli”, in virtù del quale ha fatto venire a Potenza nomi molto grossi del calcio nazionale, e i corsi di allenatore tenutisi nel
carcere del Capoluogo, che – a suo dire- hanno consentito a non pochi detenuti di ritrovare il giusto senso della vita, una volta fuori.
Il giorno che lo incontriamo (il 23 ottobre), mister Gerardo Passarella compie settantun anni.
Lei è stato, per tantissimi anni, l’allenatore in seconda di quasi tutti i tecnici che si sono succeduti sulla panchina del Potenza;
ha avuto una parentesi come allenatore titolare (nel 1992-93) ed è stato responsabile dell’area tecnica.
Sono stato calciatore per il Potenza, successivamente per alcune squadre dilettantistiche, e poi sono tornato come allenatore in seconda e delle giovanili.
La domanda è: perché c’è sempre stato bisogno di Passarella?
Non saprei, forse perché, con molta umiltà, ho sempre voluto svolgere il mio ruolo. Guardi, a me non ha mai interessato fare l’allenatore in prima qui a Potenza, troppo complicato.
L’allenatore in seconda, invece, è -a mio avviso- proprio la figura che la società non può permettersi di sbagliare; fa da cosiddetto “sarto”, cuce i rapporti, tra squadra, allenatore e società.
Cioè i giocatori vanno a lamentarsi da lui?
nell’organigramma del Potenza Calcio, ove ha ricoperto il ruolo dell’allenatore in seconda, praticamente «con quasi tutti i mister che si sono succeduti sulla panchina». Fra i progetti
di cui va più orgoglioso, vi sono il “PremioMancinelli”, in virtù del quale ha fatto venire a Potenza nomi molto grossi del calcio nazionale, e i corsi di allenatore tenutisi nel
carcere del Capoluogo, che – a suo dire- hanno consentito a non pochi detenuti di ritrovare il giusto senso della vita, una volta fuori.
Il giorno che lo incontriamo (il 23 ottobre), mister Gerardo Passarella compie settantun anni.
Lei è stato, per tantissimi anni, l’allenatore in seconda di quasi tutti i tecnici che si sono succeduti sulla panchina del Potenza;
ha avuto una parentesi come allenatore titolare (nel 1992-93) ed è stato responsabile dell’area tecnica.
Sono stato calciatore per il Potenza, successivamente per alcune squadre dilettantistiche, e poi sono tornato come allenatore in seconda e delle giovanili.
La domanda è: perché c’è sempre stato bisogno di Passarella?
Non saprei, forse perché, con molta umiltà, ho sempre voluto svolgere il mio ruolo. Guardi, a me non ha mai interessato fare l’allenatore in prima qui a Potenza, troppo complicato.
L’allenatore in seconda, invece, è -a mio avviso- proprio la figura che la società non può permettersi di sbagliare; fa da cosiddetto “sarto”, cuce i rapporti, tra squadra, allenatore e società.
Cioè i giocatori vanno a lamentarsi da lui?
Non ha mai invaso lo spazio dell’allenatore.
No, c’era collaborazione, cosa rara nel calcio, perché spesso il secondo… …sgomita.
Esatto. Certo, poi ho avuto l’occasione di fare l’allenatore in prima, perché andò via Lombardo (una persona eccezionale), arrivando fino allo spareggio di Foggia; ma la stagione successiva, benché la società avrebbe voluto confermarmi, tornai tranquillamente a fare il secondo, al fianco del mio grande amico Marcello Pasquino, che non c’è più.
Quindi potremmo titolare: “Allenatore in seconda per scelta (non degli altri)”.
Certo. Non che mi sia mancata l’opportunità di andare a fare l’allenatore fuori, ma, lavorando qui a Potenza (al Ministero dei Beni Culturali – ndr), ho sempre preferito rimanere in città.
Che momento vive il calcio in Basilicata? Mi riferisco tanto alla FGCI, quanto ai settori giovanili e agli impianti.
La situazione del calcio locale è in tutto e per tutto simile a quella nazionale. Come allenatore professionista sono stato anche più volte delegato per l’elezione del Presidente
nazionale della Federazione, e dico che ci vuole un “reset”: non è possibile che da quaranta, cinquant’anni, ci siano sempre le stesse persone.
Bisogna rottamare, per usare un termine caro a Renzi?
Direi proprio di sì. Dai vertici nazionali fino a scendere giù, “a pioggia”, devono essere resettate pure le guardie giurate.
Ma cosa c’è che non va, a parte l’età delle persone?
Io vorrei un confronto con queste persone che sono al loro posto da così tanti anni, sia a livello nazionale sia regionale, affinché possano spiegarmi quali sono stati i miglioramenti ottenuti, che cosa hanno dato al calcio. Pensi che qui in Basilicata, da oltre 150 squadre, siamo giunti sì e no a 100. Di questo passo rischiamo l’accorpamento alla Puglia o a qualche altra regione. Chi sta lì,
insomma, che cosa fa? Il problema è che alle società sembra andare tutto bene, salvo poi lamentarsi.
Ma l’imprenditoria locale crede ancora nelcalcio?
Credo di sì, ma va anche detto che diverse realtà mancano all’appello del calcio che conta: Melfi, Lavello, tutti questi grossi centri, non meritano certo le categorie in cui stanno giocando.
E come mai, nella storia, pochissimi giocatori lucani (Colonnese, Zaza…) sono emersi a livello nazionale?
Questo non è vero. Se facciamo le dovute proporzioni con le altre regioni, beh, non sono pochi: Colonnese, Lo Re, Bruno… Colonnese forse è stato il top, ma ci sono stati anche Catalano, Nolè. Queste cose accadevano quando si faceva il settore giovanile come si deve. Col professor Bochicchio di Avigliano andavamo a cercare i migliori talenti in giro per la Basilicata e facemmo una squadra veramente all’altezza della situazione. Tant’è vero che quell’anno Colonnese, Lo Re e Bruno furono venduti e avviarono le loro carriere di successo. Sette dei nostri ragazzi fecero inoltre
parte della rosa di prima squadra.
Quindi oggi il problema è tutto nel settore giovanile?
Proprio lì. E una scuola calcio NON E’ un settore giovanile. Quest’ultimo si viene a creare quando una società investe e si sceglie i ragazzi. Le scuole calcio invece sono degli oratori a pagamento. Mi consenta la provocazione, ma mi devono dimostrare cosa si riesce a insegnare a un bambino di cinque/sei/sette anni. Questi ultimi hanno bisogno di tecnici qualificati, perché la facilità di
apprendimento in un bambino è sopratuttovisiva, ma alcuni dei cosiddetti tecnici non hanno gli strumenti. Il problema è a livello nazionale: sono state abilitate persone che il pallone non l’hanno mai visto, neanche al negozio sotto casa. E poi, anche se avrei dovuto dirlo per primo, non c’è rispetto dei ruoli: ci sono giornalisti che pretendono di fare i tecnici, dicendo fesserie, tra l’altro.
Ognuno deve fare il suo.
Diciamo una cosa positiva: quali sono stati i personaggi che hanno dato DAVVERO qualcosa al calcio potentino, e di conseguenza anche alla città?
Dal punto di vista tecnico, direi subito Gino Masperi: quelli della mia generazione devono dire grazie a lui se, alla nostra età, riusciamo ancora a calciare la palla. A livello dirigenziale, citerei un po’ tutti quelli che si sono succeduti: Sandrino Giraldi, Geny D’Onofrio, Pietrafesa, Zaccagnino, Basentini,
Esatto. Certo, poi ho avuto l’occasione di fare l’allenatore in prima, perché andò via Lombardo (una persona eccezionale), arrivando fino allo spareggio di Foggia; ma la stagione successiva, benché la società avrebbe voluto confermarmi, tornai tranquillamente a fare il secondo, al fianco del mio grande amico Marcello Pasquino, che non c’è più.
Quindi potremmo titolare: “Allenatore in seconda per scelta (non degli altri)”.
Certo. Non che mi sia mancata l’opportunità di andare a fare l’allenatore fuori, ma, lavorando qui a Potenza (al Ministero dei Beni Culturali – ndr), ho sempre preferito rimanere in città.
Che momento vive il calcio in Basilicata? Mi riferisco tanto alla FGCI, quanto ai settori giovanili e agli impianti.
La situazione del calcio locale è in tutto e per tutto simile a quella nazionale. Come allenatore professionista sono stato anche più volte delegato per l’elezione del Presidente
nazionale della Federazione, e dico che ci vuole un “reset”: non è possibile che da quaranta, cinquant’anni, ci siano sempre le stesse persone.
Bisogna rottamare, per usare un termine caro a Renzi?
Direi proprio di sì. Dai vertici nazionali fino a scendere giù, “a pioggia”, devono essere resettate pure le guardie giurate.
Ma cosa c’è che non va, a parte l’età delle persone?
Io vorrei un confronto con queste persone che sono al loro posto da così tanti anni, sia a livello nazionale sia regionale, affinché possano spiegarmi quali sono stati i miglioramenti ottenuti, che cosa hanno dato al calcio. Pensi che qui in Basilicata, da oltre 150 squadre, siamo giunti sì e no a 100. Di questo passo rischiamo l’accorpamento alla Puglia o a qualche altra regione. Chi sta lì,
insomma, che cosa fa? Il problema è che alle società sembra andare tutto bene, salvo poi lamentarsi.
Ma l’imprenditoria locale crede ancora nelcalcio?
Credo di sì, ma va anche detto che diverse realtà mancano all’appello del calcio che conta: Melfi, Lavello, tutti questi grossi centri, non meritano certo le categorie in cui stanno giocando.
E come mai, nella storia, pochissimi giocatori lucani (Colonnese, Zaza…) sono emersi a livello nazionale?
Questo non è vero. Se facciamo le dovute proporzioni con le altre regioni, beh, non sono pochi: Colonnese, Lo Re, Bruno… Colonnese forse è stato il top, ma ci sono stati anche Catalano, Nolè. Queste cose accadevano quando si faceva il settore giovanile come si deve. Col professor Bochicchio di Avigliano andavamo a cercare i migliori talenti in giro per la Basilicata e facemmo una squadra veramente all’altezza della situazione. Tant’è vero che quell’anno Colonnese, Lo Re e Bruno furono venduti e avviarono le loro carriere di successo. Sette dei nostri ragazzi fecero inoltre
parte della rosa di prima squadra.
Quindi oggi il problema è tutto nel settore giovanile?
Proprio lì. E una scuola calcio NON E’ un settore giovanile. Quest’ultimo si viene a creare quando una società investe e si sceglie i ragazzi. Le scuole calcio invece sono degli oratori a pagamento. Mi consenta la provocazione, ma mi devono dimostrare cosa si riesce a insegnare a un bambino di cinque/sei/sette anni. Questi ultimi hanno bisogno di tecnici qualificati, perché la facilità di
apprendimento in un bambino è sopratuttovisiva, ma alcuni dei cosiddetti tecnici non hanno gli strumenti. Il problema è a livello nazionale: sono state abilitate persone che il pallone non l’hanno mai visto, neanche al negozio sotto casa. E poi, anche se avrei dovuto dirlo per primo, non c’è rispetto dei ruoli: ci sono giornalisti che pretendono di fare i tecnici, dicendo fesserie, tra l’altro.
Ognuno deve fare il suo.
Diciamo una cosa positiva: quali sono stati i personaggi che hanno dato DAVVERO qualcosa al calcio potentino, e di conseguenza anche alla città?
Dal punto di vista tecnico, direi subito Gino Masperi: quelli della mia generazione devono dire grazie a lui se, alla nostra età, riusciamo ancora a calciare la palla. A livello dirigenziale, citerei un po’ tutti quelli che si sono succeduti: Sandrino Giraldi, Geny D’Onofrio, Pietrafesa, Zaccagnino, Basentini,
Postiglione.
L’elenco sarebbe più lungo. Hanno tutti dato un contributo. Adesso c’è Macchia.
Le piace il corso Macchia?
Beh, dico quello che ho detto anche in riferimento alle gestioni passate: quando una società piglia e parte, senza essersi prima seduta e aver stanziato un tot congruo per il settore giovanile, individuando tecnici qualificati, per me non c’è futuro. Perché poi in questo modo si vivranno sempre i “carpe diem”. Se andiamo a vedere quanti fallimenti ci sono stati…si capisce che bisogna costruire dalla base. Una casa non la si costruisce a partire dal tetto. E vanno prese le persone più qualificate: un costruttore non assumerà mai un muratore per fargli fare l’ingegnere. E,
come dicevo, una scuola calcio, coi suoi tempi molto limitati, non può sopperire.
Il suo appello è chiaro: ricostruiamo il calcio a partire dal settore giovanile.
Oh!!! E se una prima squadra fa cinque
allenamenti a settimana, una giovanile ne deve fare sei! E’ un’impresa, ma va fatta. Le scuole calcio ci sono perché con dieci-quindici gruppi a giornata, sono soldi, e poi -diciamocelo-
per certi genitori diventano un parcheggio, laddove una volta invece c’erano gli oratori. Ma, ripeto, è un problema nazionale. I ragazzi di oggi si stanno allontanando dal calcio; e sa
perché non emergono più talenti? Perché non si gioca più in mezzo alla strada! I bambini di oggi, sempre attaccati ai cellulari, non fanno attività motoria.
Veniamo alla questione Viviani, ove i lavori si sono fermati. Secondo lei è meglio ampliare o delocalizzare?
Non sono dell’avviso di delocalizzare, visto che probabilmente stiamo parlando dello stadio più vecchio d’Italia. D’altronde, dovremmo fare uno stadio da 15-20mila posti…e per metterci chi? I numeri non ce li abbiamo. E poi, delocalizzazione dove??? Pertanto, io sistemerei il Viviani: coprendo i distinti e le curve, ne verrebbe fuori un gioiellino.
Un episodio che porterà sempre con sé?
Nell’anno dello spareggio a Foggia, stagione 1992/93, avevamo una squadra veramente notevole (Libro, Toscano, Marino, Crucitti: oggi mi hanno chiamato tutti per farmi gli auguri). Facemmo lo spareggio dopo un mese, mentre tutte le altre squadre erano al mare. La tensione e le aspettative erano molto alte. Una volta arrivati allo stadio, vennero da me Del Giudice e il capitano Garzieri,
chiedendomi di incontrarmi -da solo- per cinque minuti. Io -me ne vergogno a dirlo-malignai per un secondo, ma una volta entrati da soli negli spogliatoi, loro mi dissero queste parole:
Le piace il corso Macchia?
Beh, dico quello che ho detto anche in riferimento alle gestioni passate: quando una società piglia e parte, senza essersi prima seduta e aver stanziato un tot congruo per il settore giovanile, individuando tecnici qualificati, per me non c’è futuro. Perché poi in questo modo si vivranno sempre i “carpe diem”. Se andiamo a vedere quanti fallimenti ci sono stati…si capisce che bisogna costruire dalla base. Una casa non la si costruisce a partire dal tetto. E vanno prese le persone più qualificate: un costruttore non assumerà mai un muratore per fargli fare l’ingegnere. E,
come dicevo, una scuola calcio, coi suoi tempi molto limitati, non può sopperire.
Il suo appello è chiaro: ricostruiamo il calcio a partire dal settore giovanile.
Oh!!! E se una prima squadra fa cinque
allenamenti a settimana, una giovanile ne deve fare sei! E’ un’impresa, ma va fatta. Le scuole calcio ci sono perché con dieci-quindici gruppi a giornata, sono soldi, e poi -diciamocelo-
per certi genitori diventano un parcheggio, laddove una volta invece c’erano gli oratori. Ma, ripeto, è un problema nazionale. I ragazzi di oggi si stanno allontanando dal calcio; e sa
perché non emergono più talenti? Perché non si gioca più in mezzo alla strada! I bambini di oggi, sempre attaccati ai cellulari, non fanno attività motoria.
Veniamo alla questione Viviani, ove i lavori si sono fermati. Secondo lei è meglio ampliare o delocalizzare?
Non sono dell’avviso di delocalizzare, visto che probabilmente stiamo parlando dello stadio più vecchio d’Italia. D’altronde, dovremmo fare uno stadio da 15-20mila posti…e per metterci chi? I numeri non ce li abbiamo. E poi, delocalizzazione dove??? Pertanto, io sistemerei il Viviani: coprendo i distinti e le curve, ne verrebbe fuori un gioiellino.
Un episodio che porterà sempre con sé?
Nell’anno dello spareggio a Foggia, stagione 1992/93, avevamo una squadra veramente notevole (Libro, Toscano, Marino, Crucitti: oggi mi hanno chiamato tutti per farmi gli auguri). Facemmo lo spareggio dopo un mese, mentre tutte le altre squadre erano al mare. La tensione e le aspettative erano molto alte. Una volta arrivati allo stadio, vennero da me Del Giudice e il capitano Garzieri,
chiedendomi di incontrarmi -da solo- per cinque minuti. Io -me ne vergogno a dirlo-malignai per un secondo, ma una volta entrati da soli negli spogliatoi, loro mi dissero queste parole:
“Mister, parliamo a nome di tutti: noi oggi questa partita la giochiamo per te”. Mi commuovo ogni volta che ci penso. Come dicevo, con loro ho un rapporto eccezionale ancora oggi.
La città, in generale, come la vede?
Come una RSA, perché tutti i giovani stanno andando via. La politica si deve porre soprattutto questo problema, altrimenti è inutile fare gli stadi grandi, eh
La città, in generale, come la vede?
Come una RSA, perché tutti i giovani stanno andando via. La politica si deve porre soprattutto questo problema, altrimenti è inutile fare gli stadi grandi, eh
DI WALTER DE STRADIS